La visione è limitata, se le sbarre ne ostacolano la veduta.
Soprattutto se questa è sempre la stessa ormai da anni.Un piccolo cortile perimetrato non può essere paragonabile alle immensità del mare, dei prati e delle montagne.
Quello che non hai commesso, non può ricaderti addosso solo perché lei è tua madre.
Minori, figli di detenute:questa è la realtà di cui parliamo in queste righe.
Un legame affettivo che per natura risulta intoccabile ed inviolabile, ma che da anni è costantemente sottoposto a disamina per sbrogliare un nodo alquanto critico, quasi irrisolvibile.
A me, personalmente, questo dilemma lo ha risolto un piccolino di quasi tre anni, che durante un colloquio di supporto nel carcere di Rebibbia, mi ha chiesto nel momento in cui stavo andando via.
“Perché devo rimanere qui e tu puoi uscire?”
Poche parole, devastanti, alle quali non ho saputo dare una giusta risposta. Anche perché, allora come oggi, di giusto non trovo nulla al riguardo.
Come si può condannare un figlio alla tua stessa pena, quando di questa tu sola sei l’artefice?
I figli, i minori, devono sempre essere tutelati in tutto e per tutto, rinunciando anche a noi stessi, per far star bene loro.
In Italia dal 26 luglio 1975 è in vigore la legge n° 354, che consente alle madri detenute di tenere con sé i figli fino all’età di tre anni. Supportate in questo da specialisti che tutelano la salute psico-fisica di entrambi.
L’ordinamento con il tempo è stato modificato cercando il più possibile di non arrecare danni ai piccoli, istituendo, con la legge n° 62 del 21 aprile 2011, quelli che vengono definiti gli Icam (Istituti di Custodia Attenuata).
Queste strutture sono state ideate con l’intento di creare un’“atmosfera di casa” quanto più possibile vicina a quella “normale” che non faccia sentire il bambino in uno stato coattivo, e lontano da una realtà alla quale deve il prima possibile poter tornare.
Con la legge n° 62, però, “la pena detentiva del minore” è stata raddoppiata, perché è stato innalzato a 6 anni il limite di età dei bambini che possono rimanere in carcere al fianco delle loro mamme.
Si sono oggettivamente migliorati gli spazi e le possibilità di aiuto e sostegno, ma si parla pur sempre di carcerazione e reclusione di un individuo non colpevole e detentore di tutti i diritti possibili.
Cosa fare allora in queste difficili condizioni decisionali?
Quali sono i parametri più giusti per sostenere quanto si toglie ad un bambino in termini di affettività, serenità e stabilità nel separarlo dalla propria madre detenuta o allontanarlo da una realtà di non vita che non gli appartiene?
La libertà è al disopra di ogni cosa, non ha prezzo e deve essere sempre tutelata, in ogni contesto.
Quella stessa libertà, che per colpa giudiziaria diviene il mezzo attraverso il quale un colpevole paga la propria colpa, non può essere barattata per un legame, anche forte come quello materno.
Un bambino non può essere rinchiuso in un carcere per un relazione parentale che già in essere non presenta grandi attenzioni nei suoi confronti, ma deve essere libero di poter vivere incondizionatamente la vita che gli è stata donata.
Autore:
Tania Nardi
(Sociologa, Esperta in Report di Impatto Sociale, Talent Care presso Homo Talent)
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26/05/2021