Voleva fare la pediatra. Abbandona medicina e lancia la sua startup. Oggi usa i super-poteri del digitale per dare forza ai bambini ricoverati in ospedale. Facendo vivere loro esperienze incredibili.
L’intervista di Stefano Gelmetti a Michela Fazzito, CEO e Founder di Mission Empathy.
Michela, quando ti ho proposto di rilasciarmi un’intervista mi hai subito evidenziato di non essere laureata (purtroppo) ma di non aver abbandonato il sogno. Ti va di parlarci dei tuoi studi?
E’ vero! Ho pensato potesse essere una discriminante: molti imprenditori non sono laureati, ma l’associazione rimanda ai miti del settore e non certo a chi inizia a muovere i primi passi in questo campo. Così la prima reazione è stata quella di chiarire la mia posizione per non arrecare possibili delusioni sulla scelta di intervistarmi. In realtà il mio percorso di studi si è fermato al quarto anno di Medicina e Chirurgia e con esso, pensavo, si fosse fermata anche la possibilità di realizzare il sogno della mia vita da quando avevo quattro anni. Non ho mai associato la laurea a prestigio o guadagno, ma al riconoscimento verso se stessi riguardo l’acquisizione delle competenze necessarie per svolgere il proprio compito con responsabilità.
Nel tuo percorso lavorativo mi ha colpito il connubio medicina – startup digitali. Quale filo lega in te i due ambiti?
Oggi non esiste campo esente da contaminazione tecnologica. Soprattutto nel settore medico dove le possibilità di applicazione sono infinite così come i vantaggi che ne potrebbero risultare. Nel mio caso, il fil rouge è provare a contrastare la disruption: la differenza tra velocità di crescita delle capacità delle realtà artificiali e crescita delle capacità umane è rapida ed inarrestabile. Allora ho deciso di provare a creare qualcosa che possa costantemente mantenere al centro le persone e ricordarci ciò che differenzia e rende speciali (per ora) gli esseri umani: le emozioni. Per farlo il mondo delle start up è perfetto. Il mio progetto ingloba diversi tipo di tecnologia: AR, Wearable Technology, AI che possono essere utilizzate solo se innescate dalle emozioni positive e dal potere dell’empatia.
Qual era in tuo sogno da bambina?
Il mio sogno era, è, continua ad essere lo stesso: dare sollievo immediato al bambino ricoverato in ospedale… Ciò che cambia tra il passato ed oggi è che lo sto realizzando con una nuova consapevolezza e senso di responsabilità utilizzando un nuovo metodo e un nuovo approccio. Riuscendo nell’impresa di dimostrare e diffondere l’importanza fondamentale di occuparsi dell’aspetto emotivo ed umano del bambino ricoverato intesa come necessità e completamento di cure e terapie… beh, allora il mio sogno da bambina oltre che realizzarsi, supererebbe i suoi stessi confini.
Sei fondatore e CEO di Mission Empathy. Il vostro slogan è “Creiamo eventi speciali per trasmettere vibrazioni positive e forza ai bambini ricoverati in ospedale”. Parlaci di come è nato questo progetto e di come si sta sviluppando.
Ai tempi in cui frequentavo i reparti pediatrici notavo quanto l’ambiente ospedaliero generava nei piccoli ansie e paure e pensavo a quanto poteva essere di beneficio e giovamento per loro vivere esperienze meravigliose proprio lì dentro. Ma è rimasta per anni solo un’idea. Poi lo scorso anno, insieme ad un mio caro amico, mi accorgo di un corso ‘The Start up Lab’ organizzato al Politecnico di Torino.
‘Che dici? Mi iscrivo?’
‘Perché no?’
Su 1600 progetti ne sono stati selezionati 120 da sviluppare: Mission Empathy è uno di quelli. Da allora non c’è stato giorno in cui non abbia lavorato al progetto, qualche settimana fa mi sono licenziata e siamo quasi pronti a partire… Stiamo strutturando il portfolio degli esecutori degli eventi (fisici, astrofisici, ingegneri), stiamo lavorando al gioco di realtà aumentata e stiamo organizzando la procedura per il progetto scientifico che abbiamo intenzione di portare avanti. Il metodo Mission Empathy sta riscuotendo molto interesse e piace perché in fondo tutti vogliamo aiutare il prossimo,
ma a volte dubitiamo di poterlo fare.
Quando parli di eventi speciali cosa intendi?
Per esempio la proiezione di un planetario sul soffitto del reparto con un astrofisico che ne spiega le costellazioni, l’ascolto della musica della felicità risultato della conversione in note delle variazioni ormonali della serotonina, esperimenti fisici e chimici svolti al letto del paziente e molto, molto,
molto altro ancora. Abbiamo al momento in portfolio circa venticinque diverse attività, ma siamo solo all’inizio. Gli eventi sono speciali anche perché si svolgeranno tutti i giorni e anche nei week end e sono distinti per età e patologia e capacità di poter deambulare o meno dei piccoli pazienti e per questi
ultimi stiamo appositamente sviluppando un gioco di realtà aumentata per farli interagire in maniera nuova con l’ambiente circostante… e anche qui esiste una chicca in più legata al tema del gioco…
Qual è stato il tuo più grande fallimento e cosa ti ha insegnato?
Il non essere diventata una Pediatra, ma in realtà oggi si è trasformato nel mio più grande successo. Per tutta una serie di motivazioni, nonostante tenacia, determinazione e ad un certo punto della vita, anche una sorta di accanimento (ho continuato a pagare le tasse per molti più anni di quanto tu possa immaginare e non ho mai firmato una rinuncia agli studi) ho dovuto accettare l’apparente sgretolarsi di quel futuro che immaginavo dove già avevo previsto il colore delle pareti del mio studio e i giochi da mettere in sala d’attesa e non avevo mai ipotizzato un piano B.
Ho sofferto moltissimo e fino a poco tempo fa non riuscivo a parlarne e scoppiavo in lacrime.
Ma la vita è assurda e i suoi percorsi imprevedibili, ragazzi!!
Ad un certo punto ho cambiato la mia vision ed è sempre una gran cosa riuscire a farlo!!
Ho smesso di considerare il mio ventennale lavoro da educatrice come riduttivo, instabile e poco corrispondente alle mie aspettative e soprattutto a quelle di altri, tipo la famiglia. Oggi lo considero di gran valore come oggettivamente è!
I bambini di oggi saranno gli adulti di domani, il nostro futuro. Hai a che fare con le loro anime…
La responsabilità di contribuire a strutturare, e fortificare la loro personalità e i loro principi non è certo roba da poco.
Da quel momento tutto è diventato chiaro, ho capito: avevo sempre continuato a percorrere la via verso la realizzazione del sogno, ma passando da un’altra strada. Non avevo visto, né mi ero accorta dell’esperienza e della conoscenza che stavo acquisendo indispensabile per la nascita di Mission Empathy.
Io stavo già costruendo!
Sono stati i bambini che ho seguito ad indicarmelo, diventando via via frutti maturi e portando dentro di sè un po di me.
Noi grandi (?) possiamo imparare moltissimo da loro. Sono orgogliosa dell’amore e dell’impegno
che ci ho messo e fiera del risultato ottenuto e del rapporto privilegiato che continuo ad avere con
loro.
Per esempio: ho conosciuto Gabriele quando aveva sei mesi ed è stato il primo bimbo che ho seguito per tredici anni. Oggi è uno studente universitario di 19, ma è anche uno dei componenti del mio team!
Quali caratteristiche personali ti hanno aiutato ad arrivare dove sei adesso?
Sicuramente un mix: un ottimismo ‘responsabile’, la curiosità verso tutto ciò che è nuovo, le mie capacità comunicative, il buttarsi per provare a cogliere un’opportunità, una nuova informazione, una nuova conoscenza senza timidezze e timori e chiaramente impegno, ma tanto, tanto, tanto.
Sei felice?
Non credo di esserlo stata mai di più! La felicità spesso la si identifica con momenti, ma da quando sono entrata a far parte del mondo delle start up mi sento costantemente felice. Ogni giorno accade qualcosa che lo rende più bello del precedente nonostante fatica, dubbi, superlavoro, etc. Finalmente quello che sento di essere dentro di me è completamente in armonia con ciò che provo e trovo fuori da me.
Quali consigli vuoi dare ai giovani italiani che stanno affrontando le prime esperienze lavorative?
Di tenere sempre presente e difendere il loro valore. Di non accontentarsi rinunciando ai propri sogni mortificando se stessi e di usare al meglio il tempo che hanno a disposizione, impegnandosi per raggiungere il traguardo prefissato.
Quali suggerimenti ti senti di dare ai manager che hanno la responsabilità di assumere giovani laureati?
Di considerare il grande potenziale che hanno in mano e offrire loro il giusto ruolo e le giuste condizioni. Avere dipendenti che lavorano con passione e soddisfazione giova in primis all’azienda.
14/07/2020